Extremadura: mi casa es tu casa. Io e il mio compagno di viaggio beneficiamo del motto della “casa rural” dove alloggiamo. La padrona di casa, maniaca dell’ordine e della pulizia, ci consente di utilizzare la cucina per prepararci la colazione prima dell’alba e nel caso, anche la sera tardi. Extremadura: sugherete e lecci senza soluzione di continuità. E prati aridi di lavanda. in una parola sola: dehesa, che impedisce lo sfruttamento intensivo del terreno, favorendo l’insediamento di molte specie animali, soprattutto uccelli. E’ pieno il web di report sulle favolose opportunità fotografiche che offre la regione, capanni compresi. Si fatica, invece, a scoprire ottica utilizzata e quantità del “crop” per le immagini di rapaci, passeriformi e cicogne. Il mio 300 f.4 nero si è spesso sentito in imbarazzo fianco a fianco ai vanitosi 400-500-600 vestiti di neoprene “cam” e supportati da teste astruse (non quelle dei fotografi, s’intende). Fortunatamente la generosa apertura alare degli avvoltoi e il loro volo ravvicinato lo rimettono in gioco: un’altra conferma che le dimensioni non contano. Pochi sul web informano che, eccetto per gli avvoltoi, occorre fotografare dall’auto lungo le stradine di campagna, perché gli uccelli sono diffidenti. I puristi sappiano inoltre che i posatoi sono rappresentati da muretti, paletti e filo spinato delle onnipresenti recinzioni. Ultima sera al castillo de monfragùe. Le nuvole, ahimè, coprono anche questa volta il tanto agognato tramonto. Gli avvoltoi volteggiano e mi salutano ruotando il capo. Seguo una coppia di capovaccio che atterra lontano, su una roccia di fronte al “salto del gitano”. Si accoppia. Mi apparto in un angolo. La vista spazia a trecentosessanta gradi sulla pianura sottostante. Mi illudo che questo momento sia eterno. E infatti è già ora di riaprire gli occhi, di tornare in italia.
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